Gianni Alemanno, Segretario nazionale del Movimento Politico Indipendenza è un volto noto della politica italiana, avendo ricoperto la carica di consigliere regionale del Lazio nel 1990, di deputato dal 1994, di eurodeputato nel 2004, di ministro delle politiche agricole e forestali dal 2001 al 2006, nei governi Berlusconi II e III, ed infine di Sindaco di Roma dal 30aprile 2008 al 12 giugno 2013.

Come ministro portò avanti alcune battaglie ambientaliste a favore delle coltivazioni biologiche e in difesa dei prodotti nazionali.

Si oppose fermamente all’uso in agricoltura degli OGM (organismi geneticamente modificati) che sono organismi il cui materiale genetico è stato alterato tramite tecniche di ingegneria genetica.

Non si può fare a meno di evidenziare che nel 2003 l’allora ministro dell’Agricoltura Alemanno aveva predisposto un decreto legge per vietare le sementi transgeniche in Italia.

L’iniziativa però non piaceva agli americani in quanto avevano investito miliardi di dollari per la diffusione nelle coltivazioni agricole delle sementi biotech, nuova tipologia di coltivazione che era diventata uno dei cardini della loro strategia economica.

La pressione di Washington per bloccare il decreto di Alemanno era stata continua e raggiunse pure il Vaticano per ottenerne l’appoggio nella diffusione dei campi OGM nel mondo, che venivano presentati come un’arma per combattere la fame.

Fu così che, essendo scattato il massimo allarme negli ambienti che contano, l’ambasciatore americano Michael Sembler si precipitò da Gianni Letta, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio nel quinquennio dei due governi Berlusconi, il quale. per fermare Alemanno. telefonò subito, in presenza dello stesso ambasciatore, a Berlusconi, che obbedì immediatamente.

Il presidente Berlusconi nell’occasione rinnovò il suo appoggio agli sforzi del presidente Bush per “diffondere la democrazia” e promise che lui non avrebbe mai permesso al decreto Alemanno di passare al Consiglio dei ministri nella forma in cui gli era stato illustrato e che con l’aiuto di Letta sarebbero stati individuati i “meccanismi tecnici o procedurali” per far evitare che la bozza del decreto legge predisposto da Alemanno venisse presentato.

In questo contesto va inquadrato il periodo in cui Gianni Alemanno, vinte le elezioni nel ballottaggio con il 53,7% dei voti contro il 46,3% del suo rivale Francesco Rutelli, divenne sindaco di Roma.

Nel corso del suo ultimo mandato istituzionale in qualità di sindaco, Alemanno ha lasciato un’impronta significativa sulla politica di Roma, con una serie di iniziative che hanno fatto discutere sia i suoi sostenitori, che i detrattori, ma la sua eredità resta un punto di riferimento importante per chi è venuto dopo di lui in quanto le scelte compiute da Alemanno hanno inevitabilmente inciso sull’operato dei futuri sindaci nell’affrontare le problematiche più urgenti come, la sicurezza, l’integrazione, i servizi pubblici e tanto altro ancora nella capitale d’Italia.

Dopo la scadenza del suo mandato di sindaco nel 2013, Gianni Alemanno è stato coinvolto nell’inchiesta “Mafia Capitale”, chiamata anche “Mondo di Mezzo” riguardante una ipotizzata collusione tra funzionari della pubblica amministrazione e un’organizzazione criminale guidata da Massimo Carminati e Salvatori Buzzi, uomo storicamente legato al centrosinistra capitolino, operante nella città di Roma.

L’indagine portava alla luce un sistema di corruzione che gestiva appalti pubblici, traffici illeciti e il controllo di servizi nella Capitale, grazie a legami tra l’organizzazione, il mondo della politica e quello dell’imprenditoria attraverso la corruzione della pubblica amministrazione.

L’ex sindaco di Roma, secondo il teorema accusatorio, veniva ritenuto responsabile di corruzione e finanziamento illecito per aver agito come referente politico dell’organizzazione, ricevendo finanziamenti attraverso la Fondazione Nuova Italia in cambio di favori e per questo condannato all’esito del processo di primo grado. 

Dopo i vari gradi del processo penale, tutti i capi di imputazione presenti nel decreto di citazione a giudizio venivano meno e rimaneva soltanto l’accusa di traffico di influenze illecite in merito allo sblocco dei pagamenti in favore di Eur Spa, in relazione alla quale gli veniva irrogata la pena di un anno e dieci mesi di reclusione.

Ad Alemanno sostanzialmente venne contestato di aver sfruttato la sua influenza per far ottenere alle cooperative di Buzzi, in violazione della normativa che disciplina la materia del pagamento dei debiti della P.A., un trattamento di favore con il pagamento di alcuni crediti pregressi.

La condanna e la detenzione di Gianni Alemanno nel carcere romano di Rebibbia dal 31 dicembre 2024 suscitano non pochi dubbi su tutto l’iter processuale e procedimentale attraverso il quale si è pervenuti prima alla condanna definitiva e poi alla privazione della sua libertà personale con detenzione in un istituto penitenziario.

Non si possono sottacere alcuni aspetti:

1- La condanna di Alemanno si è basata su testimonianze di persone che notoriamente avevano avuto con lui soltanto dei rapporti conflittuali, come ad esempio Massimo Carminati e Salvatore Buzzi.

2- Le prove acquisite non erano sufficienti per dimostrare la colpevolezza dell’imputato oltre ogni ragionevole dubbio, tra l’altro non si è tenuto di tutte le intercettazioni telefoniche, da cui si evinceva la completa estraneità di Alemanno.

3- La Corte di Cassazione ha confermato la condanna sulla base della sola ricostruzione dei fatti elaborata dal rappresentante dell’accusa.

4- L’Accanimento dei pubblici ministeri nei confronti di Alemanno, nonostante gli sforzi profusi dall’ottimo avvocato Cesare Placanica, difensore di Alemanno, ha ostacolato una piena difesa.

5- L’inchiesta “Mafia Capitale” ha avuto un impatto mediatico sproporzionato e di stampo giustizialista, senza che si tenesse mai in alcun conto la eventualità che l’imputato fosse innocente.

6- La condanna di Alemanno è stata pronunciata sulla base di reati che oggi non sono più considerati tali, come hanno affermato dalle Sezioni Unite della Cassazione Penale nella sentenza n.19357 del 29/02/2024 depositata il 15/05/2024 in cui è stato enunciato il principio della non continuità normativa nel passaggio tra le due fattispecie di reato, quella prevista nell’abrogato art.346 cod. pen. e quella contenuta nel nuovo art.346 bis cod. pen.

7- Nei confronti di Alemanno la Corte di Cassazione nella sentenza n.40518 dell’8 luglio 2021, che lo ha riguardato come imputato ricorrente, non ha tenuto conto del nuovo orientamento in materia della non continuità normativa stabilito dalle Sezioni Unite un anno prima ed ha affermato che la mediazione è illecita, quando il mediatore è portatore di una qualifica pubblicistica.

Infatti per Gianni Alemanno, in relazione a fatti in cui era stata esclusa ogni profilo di responsabilità in capo al “decisore pubblico” (il legale rappresentante e il direttore dell’azienda pubblica EUR Spa), si è ritenuto invece che sussistesse il delitto di traffico d’influenze illecite per “il mediatore”  perché a mediare vi era stato un soggetto portatore di una qualifica pubblicistica, (l’ex sindaco di Roma) il quale aveva speso la sua funzione per far ottenere una rapida liquidazione di crediti di rilevante importo vantati nei confronti del Comune di Roma da società cooperative facenti capo a Salvatore Buzzi, amministratore delle cooperative a responsabilità limitata del gruppo Eriches.  

Nella citata sentenza n.40518/21, a pag.22, sempre in contrasto con l’indirizzo delle Sezioni Unite della Cassazione (sentenza n.19357 del 29/02/2024), si legge invece: ”Non fa velo a tale conclusione la circostanza che le condotte ascritte al ricorrente con riferimento a tale vicenda siano antecedenti alla introduzione del reato di cui all’art.346 bis cod. pen. E’ stata infatti più volte affermata, con riferimento alla punibilità del soggetto mediatore, la continuità normativa tra la suddetta fattispecie e quella di cui all’art.346 cod. pen. di millantato credito”.

8- E’ stata applicata una norma, successivamente modificata, riconoscendosi così implicitamente che la condotta di Alemanno non era più considerata criminosa.

9- Sicuramente la condanna di Alemanno è stata influenzata dalle sue opinioni e dalla sua storia politiche e mossa dall’intento di screditarne la sua figura politica.

10- Nessun comportamento di Alemanno ha causato danni alla P.A. o ai cittadini.

11- Le cooperative di Buzzi hanno ricevuto solo una parte dei pagamenti, che comunque erano loro dovuti e quindi non ci sono stati danni economici per la P.A.

Alemanno, come accennato, dal 31 dicembre 2024 si trova recluso nel carcere di Rebibbia dove sta scontando l’intero periodo di un anno e dieci mesi di reclusione.

Prima di analizzare le ragioni sottese alla sua detenzione, è necessario esaminare le motivazioni poste alla base della decisione dei giudici del Tribunale di Sorveglianza.

Alemanno aveva ottenuto un affidamento in prova ai servizi sociali, misura alternativa alla detenzione, da scontare nella struttura “Solidarietà e Speranza”, di Suor Paola D’Auria con alcune prescrizioni (orari, divieto di frequentare soggetti pregiudicati, obblighi di permanenza, giustificazioni per gli spostamenti).

Il tribunale di sorveglianza di Roma ha successivamente deciso di revocare tale affidamento a causa di “gravissime e reiterate violazioni” delle prescrizioni imposte.

Tra le violazioni contestate vi erano la presentazione di documentazione falsa per giustificare gli spostamenti, incontri con un avvocato condannato, mancato rispetto degli orari e delle prescrizioni relative all’obbligo di permanenza domiciliare o di rientro entro certi orari.

I giudici hanno ritenuto che queste violazioni non fossero episodiche, ma sistematiche, che ci fosse una incapacità “di adeguarsi alle regole ordinamentali” e che la finalità rieducativa del beneficio fosse dunque fallita.

Da qui la decisione di far scontare la pena in carcere.

Quella decisione non è però immune da svariati profili critici.

In primo luogo, contrariamente alla richiesta del P.G., non è stato riconosciuto a Gianni Alemanno, nel calcolo della pena residua, il periodo che egli aveva già trascorso, fin dal novembre 2023, presso la struttura ‘Solidarietà e Speranza’ gestita da suor Paola.

È un principio consolidato quello secondo il quale, quando una misura alternativa è stata effettivamente eseguita senza contestazioni per un certo periodo, quei mesi devono essere computati nella pena residua.

Se questo non avviene, l’imputato perde un periodo che ha già scontato, con un palese danno al suo diritto alla libertà personale.

Sul punto si deve rilevare che la prima Sezione della Cassazione Penale con sentenza n. 3338  del  26/01/2024, ha affermato che la revoca della misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale non consegue automaticamente ed in modo meccanicistico al mero riscontro di violazioni della legge penale o delle prescrizioni dettate dalla disciplina della misura stessa, ma il tutto deve essere valutato dal giudice in concreto e che inoltre occorre valutare se siffatto comportamento sia talmente grave da pregiudicare la prosecuzione della prova.

Inoltre le violazioni contestate ad Alemanno riguardavano documentazioni ritenute false, orari non rispettati ed incontri con un soggetto condannato.

Orbene, anche alla luce della richiamata sentenza della Cassazione (n. 3338/2024) quegli elementi da soli non potevano essere sufficienti, come ritenuto dall’ordinanza, a giustificare la revoca dell’affidamento e la trasformazione immediata in detenzione carceraria.

Non esistono margini interpretativi su come queste violazioni siano state accertate, sulla loro effettiva gravità, sul grado di responsabilità personale e infine sulla proporzionalità della reazione giudiziaria.

Ed ancora qualche riflessione sulla necessità della detenzione.

La legge italiana e la giurisprudenza costituzionale ed europea sottolineano sempre che la carcerazione sia estrema ratio – l’ultimo rimedio – soprattutto quando si parla di pene relativamente brevi e di ex benefici alternativi.

Si sarebbe potuto ricorrere a misure meno afflittive, come i domiciliari o altre forme di sorveglianza, magari graduando la pena residua, tenendo conto del comportamento, della personalità, della pericolosità concreta di Gianni Alemanno.

Quando si revoca un beneficio già concesso, la giurisprudenza richiede che le violazioni siano chiare, provate, non solo presunte, e che la persona abbia avuto effettivamente la possibilità di difendersi.

Tutto ciò non è avvenuto nel caso di Gianni Alemanno.

Non è dato di comprendere perché non sia stato considerato il parere del Procuratore Generale, che salvava il primo periodo di affidamento.

Sorgono a questo punto preoccupanti interrogativi sulla trasparenza decisionale e sull’equilibrio tra tutela del bene giuridico e rispetto del diritto alla libertà personale.

Se Gianni Alemanno aveva già trascorso quei mesi ai servizi sociali e gli stessi non erano stati contestati, la loro esclusione appare un’imposizione valutativa afflittiva che penalizza l’imputato in modo sproporzionato.

Siamo in presenza di una aperta violazione del principio di certezza della pena che prevede che il condannato ha diritto di conoscere in anticipo come verrà computata la sua pena, senza sorprese retroattive.

Perché se un periodo di pena è stato già eseguito, non può essere poi dichiarato nullo da un atto successivo.

Non si può ancora ignorare che il sistema penitenziario italiano è caratterizzato da un sovraffollamento intollerabile, con condizioni che aggravano la sofferenza dei detenuti.

In questo contesto, imporre una pena detentiva in luogo di una misura alternativa appare come una violazione del principio di umanità.

Nel diritto penale contemporaneo è principio consolidato che la detenzione debba essere la soluzione estrema, da applicare solo quando non sia possibile adottare misure meno afflittive.

Ciò è tanto più vero quando, come nel caso di Alemanno, la pena residua era inferiore a due anni.

I giudici del Tribunale di Sorveglianza di Roma hanno affermato che non esistono “spazi valutativi” per concedere i domiciliari, senza però svolgere alcun ragionamento sul bilanciamento fra esigenze di controllo e rispetto della libertà.

Questa omissione si traduce in una violazione del principio di proporzionalità sancito dall’art. 27 della Costituzione (pena commisurata al fatto) e delle norme sull’esecuzione penale che privilegiano le alternative al carcere.

Si deve poi sottolineare che la decisione di revoca che è arrivata con provvedimento d’urgenza e nottetempo, il 31 dicembre del 2024, è stata eseguita immediatamente nella stessa serata, senza alcun rispetto, né garanzia che sono dovuti alla difesa.

Non sono sufficientemente chiari i confini fra comportamenti meramente politici, impegni pubblici, rapporti con soggetti controversi e vere condotte che configurerebbero reato o che violerebbero le prescrizioni dell’affidamento ai servizi sociali.

La revoca di un beneficio come l’affidamento in prova richiede che le violazioni siano accertate in modo chiaro, concreto e grave.

Non basta rilevare che ci siano state “trasgressioni”, ma occorre valutare la natura, la causalità, la rilevanza soggettiva e la proporzionalità della reazione giudiziale.

Nel provvedimento del tribunale di Roma si leggono espressioni forti come: “non si è realizzata la finalità rieducativa”, si parla ancora “di inettitudine” o “incapacità di adeguarsi”, “di palesi violazioni” e di “fallimento del beneficio”.

L’accusa di “inettitudine o di incapacità di adeguarsi” appare valutativa, soggetta a interpretazione, e non appare compatibile con principi di uguaglianza e ragionevolezza.

Inoltre alcune delle contestazioni erano legate all’attività politica di Alemanno consistita in viaggi, conferenze, incontri e partecipazione a dibattiti e approfondimenti politici in televisione e non finalizzate alla commissione di reati.

C’è da aggiungere infine che con la riforma (nota come “legge Nordio”) l’art. 323 c.p. (abuso d’ufficio) è stato abolito, e quindi le condotte per cui Alemanno era stato condannato (traffico di influenze illecite finalizzato a un abuso d’ufficio distrattivo) avrebbero dovuto essere riesaminate come non più punibili, ma anche questo a Gianni Alemanno è stato negato, dal momento che la Cassazione, con la sentenza n. 5041/2025, ha respinto questa tesi, ritenendo che le condotte in questione possano rientrare nel nuovo art. 314-bis c.p. (indebita destinazione di denaro o beni pubblici) e che il reato del traffico di influenze era un abuso distrattivo, configurabile come peculato per distrazione, con la conseguenza che tale condotta rimaneva penalmente rilevante anche dopo la riforma Nordio.

Alla luce di tutto ciò, credo che la detenzione di Gianni Alemanno debba sollevare in tutti seri e fondati interrogativi sulla giustizia sostanziale e non solo, ma anche sulla verifica della sua colpevolezza, sul modo con cui sono stati applicati i benefici penali, sul criterio con cui sono state valutate le violazioni e sul come si è deciso che la perdita della libertà fosse un rimedio proporzionale, necessario e rispettoso dei diritti fondamentali.

A questi interrogativi è dovuta una puntuale risposta, non solo a livello giuridico, ma anche politico, perché qui non si tratta di difendere in particolare la persona di Gianni Alemanno, ma di porsi il problema di quale debba essere il confine fra rigore giudiziario e garanzia di chi è stato colpito da una sentenza di condanna.

Quel confine, quella garanzia non possono, né devono essere mai superati, né accantonati e questo occorre pretenderlo con forza e determinazione, se vogliamo che il diritto, nel suo senso più profondo, non si trasformi in un arbitrio diplomatico o burocratico, o, ancor peggio, in uno strumento di vendetta e di tortura verso la vittima sacrificale, ovvero il capro espiatorio del momento, usato per soddisfare la sete giustizialista di quanti, appassionati alla gogna mediatica, invocano le manette, rivendicano l’utilizzo indiscriminato del carcere ed sono animati esclusivamente da un generale desiderio di punizione nei confronti di chi viene a trovarsi stritolato nelle maglie della giustizia.

Tutto questo non fa parte della civiltà giuridica di un popolo perché ci riporta indietro nel tempo quando non vi erano regole etiche certe e condivise. Quando la Giustizia viene sopraffatta dall’emotività, dalla pressione sociale e dalla gogna mediatica che prevalgono sui principi di legalità e sul giusto processo, viene infatti compromessa l’imparzialità del sistema giudiziario ed è così inevitabile che anche il processo penale e la sua esecuzione si trasformino in una forma di vendetta o repressione, oltre che in un circolo vizioso di ritorsioni.


2 risposte a “Il Caso Alemanno e la Giustizia giusta”

  1. Avatar Luciano Buonocore
    Luciano Buonocore

    Bravissimo Alfredo, hai fatto un ottimo lavoro. I miei più sinceri complimenti.

    1. Avatar Alfredo Lonoce

      Molte grazie, Luciano, saluti!

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