Si sente affermare nei salotti che contano e nei variegati talk show televisivi, ma anche in luoghi più popolari, come sono i social, o come può essere una barberia, un circolo, un bar, o un pub, dove la gente chiacchiera e disserta animosamente anche su cose che non conosce, affermando che hanno ragione gli uni, o che hanno ragione gli altri, che nella Striscia di Gaza non esiste alcun genocidio, che il diritto internazionale vale fino ad un certo punto e non è vincolante.

Prima di analizzare i fatti di Gaza, al fine di fornire una risposta al quesito su cui si è aperto un ampio dibattito, circa la esistenza o meno di un genocidio contro il popolo palestinese ad opera di Israele, occorre approfondire il significato della denominazione “genocidio” che è un gravissimo crimine delitto contro l’umanità riconosciuto a livello internazionale.

Il termine “genocidio” venne usato per la prima volta nel 1944 da un ebreo, Raffaello Lemkin, avvocato di nazionalità polacca, il quale con questa parola intendeva riferirsi ad “un fenomeno brutale che si sviluppa attraverso un modello coloniale in cui la nazione colpevole sostituisce il modello nazionale della nazione vittima”.

Al termine della seconda guerra mondiale, lo stesso termine “genocidio” venne adottato dall’ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite) per descrivere un piano coordinato di diverse azioni, volte alla distruzione delle fondamenta essenziali della vita di un gruppo nazionale con l’obiettivo di annientare il gruppo stesso.

Nell’intento di scongiurare nuovi olocausti e futuri genocidi, tutti gli Stati che avevano costituito l’ONU, all’unanimità, con la Risoluzione n.260 adottata a New York in data 9 dicembre 1948, approvarono la Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio, entrata in vigore internazionale il 12 gennaio 1951.

La suddetta Convenzione, venne subito ratificata da Israele il 9 marzo 1950.

L’Italia invece ne autorizzò la ratifica solo successivamente, con legge n. 153 dell’11 marzo 1952 (Gazzetta Ufficiale n. 74 del 27 marzo 1952) e subito dopo, il 4 giugno 1952 aderì (Gazzetta Ufficiale n 161 del 14 luglio 1952), consentendone l’entrata in vigore il 2 agosto 1952.

Si legge nel preambolo della ratifica: “considerando che l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, nella Risoluzione 96/1. dell’11 dicembre 1946 ha dichiarato che il genocidio è un crimine di diritto internazionale, contrario allo spirito e ai fini delle Nazioni Unite e condannato dal mondo civile;

riconoscendo che il genocidio in tutte le epoche storiche ha inflitto gravi perdite all’umanità;

convinte che la cooperazione internazionale è necessaria per liberare l’umanità da un flagello così odioso, convengono quanto segue…”

https://unipd-centrodirittiumani.it/it/archivi/strumenti-internazionali/convenzione-per-la-prevenzione-e-la-repressione-del-crimine-di-genocidio-1948

Il Trattato in esame, costituito da 19 articoli, aventi lo scopo di mettere al bando il genocidio e obbligare gli Stati membri ad implementare l’applicazione delle regole nello stesso contenute, avrebbe dovuto costituire la garanzia per il mondo intero che fatti come quelli avvenuti nel corso della seconda guerra mondiale non si sarebbero più ripetuti.

Tra gli articoli più importanti vi è il II), che definisce quali sono le azioni di uno Stato che devono essere categorizzate come genocidio:

(a) Uccidere membri di un gruppo;
(b) Causare gravi danni fisici o mentali ai membri del gruppo;
(c) Sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita volte a provocarne la distruzione fisica totale o parziale;
(d) Imporre misure volte a impedire le nascite all’interno del gruppo;
(e) Trasferire forzatamente bambini del gruppo in un altro gruppo.

Il Trattato stabilisce che, qualora anche solo uno dei punti venga individuato nell’azione di uno Stato, tanto basta per definirlo “colpevole di genocidio”.

Rilevanti sono inoltre gli articoli III e IV:

Articolo III
Sono punibili gli atti seguenti:
(a) Genocidio;
(b) Cospirazione per commettere genocidio;
(c) Incitamento diretto e pubblico a commettere genocidio;
(d) Tentativo di commettere genocidio;
(e) Complicità nel genocidio.

Articolo IV

Le persone che commettono genocidio o uno qualsiasi degli altri atti enumerati nell’articolo III dovranno essere punite, sia che si tratti di governanti costituzionalmente responsabili, sia di funzionari pubblici o di privati.

A seguito di lunghe, laboriose ed approfondite indagini internazionali eseguite a cura delle più autorevoli organizzazioni indipendenti, è emerso che Israele avrebbe violato tutti e 5 i punti del citato art. II.

In particolare, le violazioni delle lettere a, b, c, d, sono ancora incessanti e si ripetono quotidianamente.

Dopo l’entrata in vigore della Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 9 dicembre del 1948, l’Italia, su iniziativa del Presidente Aldo Moro, ha emanato anche una sua legge nazionale in materia di genocidio recante il n.962/1967 che è tuttora in vigore nella sua originaria formulazione.

https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:1967-10-09;962!vig=2025-09-17

Nella citata legge l’Italia ha reiterato il recepimento dell’intera Convenzione dell’ONU del 1948 in un articolato molto chiaro che si trascrive:

Legge 9 ottobre 1967, n.962 – PREVENZIONE E REPRESSIONE DEL DELITTO DI GENOCIDIO

La Camera dei deputati ed il senato della Repubblica hanno approvato;
Il Presidente della Repubblica:

Promulga la seguente legge:

Art. 1     Atti diretti a commettere genocidio.

Chiunque, al fine di distruggere in tutto o in parte un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso come tale, commette atti diretti a cagionare lesioni personali gravi a persone appartenenti al gruppo, è punito con la reclusione da dieci a diciotto anni.

Chiunque, al fine di distruggere in tutto o in parte un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso come tale, commette atti diretti a cagionare la morte o lesioni personali gravissime a persone appartenenti al gruppo, è punito con la reclusione da ventiquattro a trenta anni. La stessa pena si applica a chi, allo stesso fine, sottopone persone appartenenti al gruppo a condizioni di vita tali da determinare la distruzione fisica, totale o parziale del gruppo stesso.

Art. 2    Deportazione a fine di genocidio.

Chi, al fine indicato nel precedente articolo, deporta persone appartenenti ad un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, è punito con la reclusione da quindici a ventiquattro anni.

Art. 3    Circostanza aggravante.

Se da alcuno dei fatti preveduti negli articoli precedenti, deriva la morte di una o più persone, si applica la pena dell’ergastolo.

Art. 4     Atti diretti a commettere genocidio mediante limitazione di nascite.

Chiunque impone o attua misure tendenti ad impedire o a limitare le nascite in seno ad un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, allo scopo di distruggere in tutto o in parte il gruppo stesso, è punito con la reclusione da dodici a ventuno anni.

Art. 5     Atti diretti a commettere genocidio mediante sottrazione di minori.

Chiunque, al fine indicato nell’articolo precedente, sottrae minori degli anni quattordici appartenenti ad un gruppo nazionale, etnico o religioso, per trasferirli ad un gruppo diverso, è punito con la reclusione da dodici a ventuno anni.

Art. 6     Imposizione di marchi o segni distintivi.

Chiunque costringe persone appartenenti ad un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, a portare marchi o segni distintivi indicanti l’appartenenza al gruppo stesso è punito, per ciò solo, con la reclusione da quattro a dieci anni.

Ove il fatto sia stato commesso al fine di predisporre la distruzione totale o parziale gruppo, si applica la reclusione da dodici a ventuno anni.

Art. 7     Accordo per commettere genocidio.

Qualora più persone si accordino allo scopo di commettere uno dei delitti preveduti negli articoli da 1 a 5 nel secondo comma dell’articolo 6 della presente legge, e il delitto non è commesso, ciascuna di esse è punibile, per il solo fatto dell’accordo, con la reclusione da uno a sei anni.

Qualora più persone si accordino allo scopo di commettere il delitto preveduto nel primo comma dell’art.6 della presente legge, e il delitto non è commesso, ciascuna di esse è punibile, per il solo fatto dell’accordo, con la reclusione da tre mesi a un anno.

Per i promotori la pena è aumentata.

Art. 8     Pubblica istigazione e apologia.

Chiunque pubblicamente istiga a commettere alcuno dei delitti preveduti negli articoli da 1 a 5, e’ punito, per il solo fatto della istigazione, con la reclusione da tre a dodici anni.

La stessa pena si applica a chiunque pubblicamente fa l’apologia di alcuno dei delitti preveduti nel comma precedente.

Art. 9     Competenza per materia.

La cognizione dei delitti, consumati o tentati, preveduti nella presente legge appartiene alla Corte d’assise.

I delitti di genocidio perseguiti dalla Legge “Moro” non sono limitati agli atti compiuti sul territorio nazionale (gli articoli si aprono infatti con “Chiunque…”).

La determinazione di persecuzione di questo efferato crimine contro l’umanità, l’Italia l’ha voluta rimarcare proprio con la sopramenzionata legge nazionale, intendendo dare forma e voce a quella giurisdizione universale voluta dalla Convenzione ONU del 1948, basata sui principi da questa enunciati.

Molti si chiedono per quale motivo, i governi del democratico mondo occidentale minimizzano i fatti criminosi che vengono compiuti nella Striscia di Gaza e non intervengono per farli cessare.

Le ragioni certamente vanno ricercate negli interessi economici che legano Israele a tutto il mondo occidentale, soprattutto quello statunitense, tedesco, francese, inglese ed italiano.

Un legame molto forte di tutti con Israele deriva dalla compravendita di armi, di prodotti di alta tecnologia che sono indispensabili per il controllo delle comunicazioni, nonché, di sofisticati apparati per l’intelligence e la sicurezza.

Come ha già statuito la Corte Internazionale di Giustizia, tutti gli Stati parte della Convenzione contro il Genocidio ed anche tutti gli altri Stati che non l’hanno ratificata, hanno l’obbligo di fare tutto il possibile per prevenire e/o interrompere il genocidio, senza che sia necessario attendere un ordine giudiziale. Ed ancora – ha proseguito la Corte – possono incorrere in responsabilità qualora “manifestamente abbiano omesso di adottare tutte le misure per prevenire un genocidio che erano in loro potere e che avrebbero potuto contribuire a prevenirlo”. https://images.processopenaleegiustizia.it/f/sentenze/documento_4c3Ie_ppg.pdf

La Corte internazionale di giustizia dell’Aja ha emesso una sua sentenza provvisoria nel caso aperto dal Sudafrica contro lo Stato di Israele, accusato di aver violato la Convenzione sul genocidio del 1948 nella Striscia di Gaza.

https://presskit.it/2023/12/31/testo-integrale-della-denuncia-genocidio-presentata-israele-allaia-dal-sud-africa

La statuizione della Corte Penale Internazionale non ha stabilito se Tel Aviv sia o meno responsabile di un genocidio contro il popolo palestinese, ma ha evidenziato il diritto dei palestinesi di essere protetti dagli atti di genocidio e ha ordinato a Israele di prevenire qualunque atto che possa essere ricondotto a genocidio a Gaza.

La sentenza finale sulle accuse di genocidio potrebbe richiedere anni per giungere a una conclusione, ma il Sudafrica ha espressamente richiesto alla Corte di intervenire tempestivamente per proteggere i palestinesi da possibili ulteriori violazioni della Convenzione.

Nel suo pronunciamento, la Corte ha rifiutato la richiesta di Israele di respingere il caso presentato del Sudafrica, precisando che diverse delle accuse siano plausibili. Inoltre, ha riconosciuto l’esistenza delle condizioni necessarie per imporre misure di emergenza sul caso. In particolare, i giudici hanno rilevato come l’assenza di un intervento potrebbe mettere ulteriormente in pericolo di genocidio il popolo palestinese, a causa della drammatica assenza di aiuti umanitari e della distruzione del sistema sanitario che hanno messo Gaza in una “situazione umanitaria catastrofica”.

Pertanto, la Corte ha stabilito che Israele debba prendere ogni misura necessaria per prevenire un genocidio a Gaza, proteggere i palestinesi dal rischio di genocidio fermando le uccisioni, prevenire ogni causa di dolore mentale o fisico alla popolazione, punire e prevenire qualunque dichiarazione o atto pubblico che possa incitare al genocidio e attivarsi per preservare ogni prova che possa essere utile al caso per genocidio.

Israele avrà un mese di tempo per sottoporre alla Corte un report in cui dia prova di aver agito conseguentemente alla sentenza della Corte.

Secondo il Sudafrica le operazioni militari di Israele, iniziate dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, hanno “carattere di genocidio, in quanto mirano alla distruzione di una parte sostanziale del gruppo nazionale ed etnico palestinese”, mentre Israele ha respinto le accuse come “distorte”, sostenendo che la sua offensiva è rivolta solamente contro Hamas e non verso il popolo palestinese nel suo complesso.

La decisione della più alta Corte della Nazioni Unite ha carattere vincolante e non può essere impugnata o sottoposta a ricorso.

Tuttavia, la Corte non ha il potere di farla rispettare o di imporla con la forza, ma starà ai paesi della comunità internazionale farla valere, anche attraverso l’introduzione di pesanti sanzioni contro Israele.

A questo punto nasce un interrogativo, che è quello di sapere cosa faranno le democrazie occidentali in presenza di un palese e conclamato crimine di genocidio.

Manterranno la stessa posizione di colpevole inerzia, fino ad ora tenuta con il rischio di incorrere in responsabilità per aver omesso di adottare tutte le misure per prevenire un genocidio che erano in loro potere e che avrebbero potuto – se adottate – contribuire a prevenirlo?

Mi auguro che i democratici Stati occidentali trovino la dignità di ravvedersi ed abbiano la capacità di capire che in un mondo globalizzato e connesso non basta una parvenza di democrazia e qualche sterile proclama, cui però non fanno seguito fatti ed atti concreti per salvaguardare tutti quei diritti umani che sono universalmente riconosciuti dalla comunità internazionale civile ad ogni persona e ad ogni popolo, ma è necessaria soprattutto la volontà politica e la determinazione di perseguire in concreto la tutela di quei diritti.


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