Come è noto, la struttura di ogni reato si basa su fatto tipico enunciato nella norma, nella sua antigiuridicità e nella colpevolezza del soggetto attivo del reato.

La natura è caratterizzata dalla condotta (azione o omissione), dall’evento e dal nesso di causalità, oltre che dall’elemento soggettivo (dolo, colpa o preterintenzione).

Infine, l’operatività è collegata al principio di legalità, che definisce il reato come un comportamento antigiuridico, contrario a una norma vigente che prevede una sanzione. 

Il traffico di influenze illecite è un reato che si concretizza quando qualcuno sfrutta la propria presunta o reale influenza su un pubblico ufficiale per ottenere favori o agevolazioni in cambio di un compenso.

La struttura di questo reato è quella di un accordo trilaterale: l’intermediario (trafficante di influenze), il privato che cerca il favore e il pubblico ufficiale il quale a sua volta deve compiere l’atto illecito contrario ai doveri del suo ufficio.

La natura del reato è quella di una mediazione illecita, che mira a un vantaggio patrimoniale o di altro tipo, e che si distingue dalla corruzione perché il prezzo è corrisposto solo per l’attività di mediazione e non necessariamente per l’atto illecito stesso.

L’operatività si manifesta attraverso la promessa o la dazione di denaro o altri vantaggi in favore del trafficante, che a sua volta contatta il pubblico ufficiale per ottenere l’atto illecito.

Si tratta di una fattispecie di reato disciplinata dall’art.346 bis cod. pen. introdotta nel nostro ordinamento dall’art. 1 della legge n. 190 del 6 novembre 2012, nota come legge Severino, nell’ottica di una migliore prevenzione della corruzione nelle pubbliche amministrazioni ed in sintonia con il recepimento nel nostro ordinamento giuridico della Convenzione delle Nazioni Unite del 31 ottobre 2003 sulla corruzione, cosiddetta “Convenzione di Merida”, ratificata con la legge 3 agosto 2009, n. 116, nonché, della Convenzione penale sulla corruzione del Consiglio d’Europa del 27 gennaio 1999 (Convenzione di Strasburgo), ratificata dall’Italia con la legge 28 giugno 2012, n. 110.

Allorché venne emanata la Legge Severino si sanzionava  il soggetto che, fuori dai casi di concorso nei reati di cui agli articoli 319 c.p. e 319 ter c.p., vantando relazioni effettivamente esistenti con un pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, faceva indebitamente dare o promettere (a sé o ad altri) denaro o altro vantaggio patrimoniale come prezzo della propria mediazione illecita verso il pubblico agente, ovvero per remunerarlo affinché quest’ultimo omettesse o ritardasse un atto d’ufficio o portasse a compimento un atto contrario ai doveri d’ufficio.

Nell’intento del legislatore la nuova norma veniva accostata alla disciplina della corruzione, quale scambio fra soggetti entrambi penalmente responsabili, dal momento che si estendeva la tutela penale all’area prodromica al delitto di corruzione.

La nuova norma in esame tendeva a contrastare il comportamento di chi, avendo relazioni con un soggetto pubblico e sfruttandole, si faceva dare o promettere, al di fuori dei casi di concorso nei delitti di corruzione propria o in atti giudiziari, denaro od altro vantaggio, come prezzo della pro­pria mediazione illecita verso un soggetto pubblico, ovvero per remunerarlo in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri dell’ufficio.

Tuttavia l’anticipazione dell’intervento penale rendeva assolutamente vago il contenuto dell’offesa, non individuabile la lesione dei beni e del buon andamento e della imparzialità della pubblica amministrazione.

Tuttavia, pur avendo potenzialmente la capacità di sanzionare, come detto, atti meramente propedeutici, ovvero preparatori rispetto alle vere e proprie condotte corruttive, in concreto è impossibile, oltre che impensabile giungere a proibire la prassi delle c.d. raccomandazioni virtuose.

Dopo meno di sette anni l’art. 346 bis cod. pen.  è stato modificato dall’art. 1 co.1 lett. s) della L. 9 gennaio 2019 n. 3, nota come legge “spazzacorrotti” che ha abrogato il millantato credito, e, intervenendo sul traffico di influenze illecite, vi ha compreso anche la condotta del soggetto che semplicemente millanti relazioni con un pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, al pari del millantato credito, e non solo che agisca vantando relazioni effettivamente esistenti con i medesimi.

Il traffico di influenze illecite nella sua nuova formulazione non era applicabile all’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno in quanto non era ancora in vigore e perché i fatti contestati nei capi di imputazione riguardavano il periodo compreso tra il 2009 ed il 2013.

Lo stesso art. 346-bis c.p., dopo circa cinque anni, è stato interessato da una seconda modifica dall’art. 1, co.1, lett. e) della L. 9 agosto 2024, n. 114, meglio conosciuta come “Legge Nordio“ che ha abrogato il delitto di abuso d’ufficio.

Il traffico di influenze è un fenomeno complesso che si verifica quando una persona o un’organizzazione cerca di influenzare decisioni pubbliche o private ricorrendo alla corruzione o alla manipolazione.

E’ un reato di pericolo perché anticipa fortemente la tutela, infatti si consuma nel momento in cui si dà il denaro o si accetta la promessa della remunerazione per corrompere poi il funzionario pubblico.

Questa fattispecie contiene però diversi profili di criticità, cui si fa cenno.

Innanzitutto, si deve rilevare come la tipologia di reato in esame sia stata introdotta nel nostro ordinamento quando ancora mancava una disciplina organica del fenomeno lobbystico, l’unica in grado di realizzare la trasparenza dei processi decisionali pubblici, che avrebbe fissato il limite di liceità dell’azione esercitata dai portatori di interessi particolari (non generali) e dai rappresentanti dei cd. gruppi pressione presso la pubblica amministrazione, anche in ordine ai rapporti tra economia e politica.

La norma del traffico di influenze illecite, che finisce con l’anticipare la risposta penale agli accordi pre-corruttivi, appare una norma “a tipicità impalpabile” ed una fattispecie del tutto “evanescente”, tanto che la stessa giurisprudenza di legittimità ha cercato di “restringerne le maglie”.

Infatti l’ampia potenzialità della fattispecie incriminata, contiene un precetto che apre uno spaccato assai più delicato e complesso sotto il profilo della determinatezza del precetto penale che invece dovrebbe rispettare l’art. 25, comma 2 della Costituzione con cui è garantito il principio di legalità penale, essendo stato sancito che “Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”.

Questo significa che si può essere puniti solo per un comportamento espressamente previsto come reato da una legge esistente al momento in cui il fatto è stato commesso.

A ciò va aggiunto che la norma in questione dovrebbe essere sempre in linea, sotto il profilo della prevedibilità della decisione giudiziale, anche con l’art. 7 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) che pure sancisce il principio di legalità penale.

Anche la CEDU sancisce infatti che nessuno può essere condannato per una azione o una omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale.

Parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso.

Questo significa che non è possibile applicare retroattivamente leggi penali sfavorevoli.

Il “traffico di influenze illecite” ha in buona sostanza “una tipicità normativa invisibile, anche perché non è dato comprendere quale sia il fatto socialmente dannoso che si intende reprimere”.

Dopo l’introduzione di questa nuova tipologia di reato, la giurisprudenza ha affrontato il problema della punibilità di fatti che prima della sua vigenza non costituivano reato.

Secondo un primo orientamento giurisprudenziale prevalente sussisteva la continuità normativa tra il previgente art. 346 cod.pen. (millantato credito) ed il successivo art. 346 bis cod.pen., mentre secondo altro orientamento invece non esisterebbe alcuna continuità.

Le Sezioni Unite della Cassazione Penale con sentenza n.19357 del 29/02/2024 depositata il 15/05/2024 hanno finalmente chiarito le precedenti contraddizioni giurisprudenziali stabilendo il principio della non continuità normativa nel passaggio tra le due fattispecie di reato, quella prevista nell’abrogato art.346 cod. pen. e quella contenuta nel nuovo art.346 bis cod. pen.

La mediazione sarebbe poi illecita, quando il mediatore è portatore di una qualifica pubblicistica.

Questo principio è stato enunciato dalla Cassazione nella sentenza n.40518 dell’8 luglio 2021, proprio per il caso dell’ex Sindaco di Roma,  Gianni Alemanno, in relazione ad una vicenda nella quale, pur essendosi esclusa la commissione di un reato in capo al “decisore pubblico” (il legale rappresentante e il direttore dell’azienda pubblica EUR Spa), si è ritenuto invece che sussistesse il delitto di traffico d’influenze illecite per “il mediatore”  perché a mediare era stato un soggetto portatore di una qualifica pubblicistica, (l’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno) il quale aveva speso la sua funzione per far ottenere una rapida liquidazione di crediti di rilevante importo vantati da società cooperative facenti capo a Salvatore Buzzi, amministratore delle cooperative a responsabilità limitata del gruppo Eriches nei confronti del Comune di Roma.

Nella citata sentenza n.40518/21, a pag.22, in contrasto con l’indirizzo delle Sezioni Unite della Cassazione, si legge invece: ”Non fa velo a tale conclusione la circostanza che le condotte ascritte al ricorrente con riferimento a tale vicenda siano antecedenti alla introduzione del reato di cui all’art.346 bis cod. pen. E’ stata infatti più volte affermata, con riferimento alla punibilità del soggetto mediatore, la continuità normativa tra la suddetta fattispecie e quella di cui all’art.346 cod. pen. di millantato credito”.

Il legislatore, ignorando la necessità di introdurre una disciplina sul lobbying per colmare quella lacuna che esiste dopo l’entrata in vigore del reato di traffico di influenze illecite, è invece intervenuto sulla singolare nuova definizione legale di “mediazione illecita”, ispirato dalle vicende processuali che hanno riguardato proprio il caso Alemanno.

Nella sentenza di cui sopra (Cass.Pen. n.40518/2021) la Sezione VI della Cassazione ha definito la mediazione illecita “quella finalizzata alla commissione di un ‘fatto di reato’ idoneo a produrre vantaggi per il privato committente”.

In quel processo la Cassazione ha affermato che il nucleo dell’antigiuridicità della fattispecie di traffico di influenze va ricercato «non nel mero sfruttamento (vero o vantato) di relazioni con il pubblico agente (che costituisce piuttosto il mezzo attraverso il quale il soggetto agente riesce ad ottenere dal privato la dazione indebita, anche solo come promessa), bensì in tutte quelle forme di intermediazione che abbiano come finalità “l’influenza illecita” sulla attività della pubblica amministrazione».

D’altra parte, la norma non chiarisce in cosa debba consistere questa illiceità, per la cui tipizzazione non è neppure possibile fare ricorso ad una normativa, non ancora entrata in vigore, che disciplini i presupposti e le procedure di una mediazione legittima con la pubblica amministrazione (la c.d. lobbying). 

Il contenuto assolutamente indeterminato della norma di traffico di influenze illecite si presta al fondato rischio che le più variegate relazioni con la pubblica amministrazione, come i contatti informali, i rapporti di conoscenza, o di colleganza, difficilmente catalogabili in relazione all’interesse perseguito, possano finire col ricadere nelle maglie dell’illecito penale.

Per ovviare a questo rischio di iper-criminalizzazione, la Cassazione ha cercato di giungere ad una interpretazione restrittiva della fattispecie, considerando “illecita” la sola mediazione finalizzata alla commissione di un “fatto di reato” idoneo a produrre vantaggi per il privato committente.

Nel processo dell’ex Sindaco di Roma, applicando tale principio, la Cassazione ha ritenuto che sussistesse la “mediazione illecita” di cui parla l’art. 346 bis c.p., individuata in un ipotizzato accordo intercorso tra Buzzi ed Alemanno caratterizzato dalla illecita finalità di far ottenere alle cooperative di Buzzi un trattamento di favore per i pagamenti dei crediti pregressi, in violazione della normativa che disciplina la materia del pagamento dei debiti della p.a. Condotte queste ultime qualificabili come fatti di abuso di ufficio (art. 323 c.p.).

La legge Nordio fa riferimento non ad un ‘fatto di reato’, ma al compimento di un atto contrario ai doveri d’ufficio costituente reato.

La formulazione è più stretta di quella introdotta dalla giurisprudenza, che peraltro già lasciava fuori dalla sfera del traffico d’influenze le condotte del mediatore dirette, tramite raccomandazioni, a orientare scelte del pubblico funzionario di per sé lecite, nell’ambito della sua discrezionalità amministrativa, come ad esempio l’adozione di una decisione invece di un’altra, l’affidamento di un incarico ad un professionista, la scelta di una fornitura di materiali per l’ufficio, o quella della società commerciale per la somministrazione dell’energia elettrica e del gas e così via.

La nuova formulazione della norma, dopo l’abolizione dell’abuso d’ufficio, sembra una vera e propria trappola per tutti, siano essi politici che ricoprono ruoli istituzionali, o pubblici dirigenti con poteri di gestione delle risorse pubbliche e quanti altri che, pur estranei alla pubblica amministrazione, si interfaccino con i primi due.

Questa è l’inevitabile conseguenza dell’introduzione di una norma nata male, sotto l’influenza della spinta giustizialista e forcaiola che periodicamente anima gli italiani.

Il traffico d’influenze presuppone, per espressa previsione normativa, che il fatto non integri un’ipotesi di corruzione, l’atto contrario ai doveri d’ufficio costituente reato integra molto spesso un abuso d’ufficio, con la contestuale abolizione di questo reato, la nuova definizione legale di mediazione illecita finisce pertanto per essere ancor più distante da quella proposta dalla Sesta Sezione della Cassazione e recepita dal legislatore che dopo tre anni ha cancellato l’abuso d’ufficio.

La definizione di mediazione illecita restringe di molto l’ambito applicativo della fattispecie, con conseguente abolitio criminis in relazione a tutte le mediazioni che non possano dirsi illecite in base alla nuova norma, come quelle che avevano di mira la realizzazione di fatti di abuso d’ufficio.

La norma in esame determina una rilevante anticipazione della soglia di punibilità, finendo per assumere la fisionomia propria del reato di pericolo astratto, dal momento che il delitto si configura anche nel caso in cui l’influenza non viene esercitata o, comunque, se esercitata, non ha raggiunto il risultato preso di mira.

Inoltre presenta un grave deficit di determinatezza, soprattutto per l’uso che si fa nel suo contenuto letterale di formule dal significato sfuggente perché troppo ampio, come l’aggettivo “illecita” riferito alla mediazione c.d. onerosa.

E’ quindi necessario che il legislatore intervenga ancora una volta sull’art.346 bis cod. pen. per definire e perimetrare il significato dell’aggettivo illecita riferito alla mediazione c.d. onerosa e per descrivere più compiutamente le condotte ed i fatti che si vogliono sanzionare.

Attraverso la riforma della norma eseguita sotto la spinta giustizialista impressa dal Movimento 5 Stelle nel primo governo guidato da Giuseppe Conte, il legislatore con la legge n.3 del 9 gennaio 2019 ampliò la sfera di operatività del reato di traffico di influenze illecite e decise di inasprirne le sanzioni con riferimento al limite massimo della pena e alla introduzione delle pene accessorie dell’interdizione dai pubblici uffici e dell’incapacità di contrattare con la P.A.

Fu così che venne abrogato il reato di millantato credito (art. 346 c.p.) e venne prevista la punizione sia del mediatore che del committente della mediazione, a prescindere dalla reale capacità del primo di influenzare il pubblico agente.

Inoltre fu attribuita rilevanza anche alle condotte finalizzate ad una corruzione per l’esercizio della funzione (art. 318 cp) ed alla relativa remunerazione, così da far assumere rilevanza pure al traffico di influenze c.d. gratuito, fu ampliato a “qualsiasi utilità” l’ambito della prestazione del committente e non più soltanto a vantaggi di carattere patrimoniale ed inseriti i pubblici agenti internazionali di cui all’art. 322 bis c.p. tra i destinatari dell’influenza illecita.

Attraverso tutte queste modifiche il legislatore dell’epoca ha costruito una norma incriminatrice pericolosa per qualsiasi indagato ed ancora più indeterminata e disomogenea di quella che era stata introdotta con la legge n. 190/2012.

Infine la riforma Nordio di cui alla legge n. 114/2024 ha provveduto meglio specificare la tipologia della fattispecie incriminatrice e a descrivere nel dettaglio il contenuto offensivo, escludendo la previsione della vanteria e delle relazioni solo «asserite» ed ha introdotto il dolo qualificato dall’intenzionalità, attraverso la previsione di uno «scopo» cui deve mirare il ricorso alle relazioni «esistenti» e conseguentemente la mediazione illecita.

Tuttavia, nonostante gli sforzi del legislatore, la norma sul traffico di influenze illecite rimane nebulosa ed evanescente, perché essendo assai carente sotto il profilo della precisione e della piena conoscibilità di cosa è lecito e di quello che non lo è, non consente un agevole e pieno esercizio del diritto di difesa.

Si presta purtroppo alle più variegate interpretazioni di cui la magistratura è l’unica protagonista, compromettendo così la certezza del diritto

In relazione ai principi su cui si fonda il nostro ordinamento penale ed alle garanzie esistenti nella Costituzione, sorgono numerosi e preoccupanti interrogativi sulla norma in esame che, pur avendo subito, come detto, già due modifiche, ha lascito evidenti tutte le sue negatività ed incertezze, cui va aggiunta la dubbia costituzionalità di una previsione di tutela penalistica anticipata, la difficoltà di individuazione del fatto socialmente dannoso che si intende reprimere.

Purtroppo quando l’emanazione di una legge penale più rigorosa nel perseguire alcuni reati invece di altri ha luogo per la necessità di ricevere il consenso degli elettori o di soddisfare tendenze giustizialiste, se non addirittura forcaiole, ne viene fuori una pessima legge ed un inevitabile caos interpretativo. 

Dietro la necessità dell’introduzione di questa problematica norma incriminatrice si è sempre invocata la necessità del rispetto delle Convenzioni sovranazionali contenenti obblighi di incriminazione in materia, ma in realtà né art. 12 della Convenzione penale sulla corruzione del Consiglio d’Europa, del 27 gennaio 1999 (Convenzione di Strasburgo), né art. 18 della Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione del 31 ottobre 2003 sulla corruzione, cosiddetta “Convenzione di Merida” sanciscono vincoli «assoluti» di incriminazione.

Si auspica, ma anche si impone, quindi una riforma che ponga fine a tutte le incertezze e le lacune evidenziate al fine di consentire di pervenire, per tutte le ipotesi di reato che il legislatore riterrà di sanzionare, ad una giustizia giusta e non a quella deriva giustizialista che tanto male e danno in passato ha procurato all’Italia.


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